Gli Acidi più importanti nel Vino

Riprendiamo dopo un lungo periodo di pausa con gli acidi nel vino, concentrandoci su quelli più importanti studiando come vengono metabolizzati e gli effetti che avranno sul prodotto finito.

 

Tra tutti gli acidi sopra citati nell’articolo precedente Acidi nel Mosto e nel Vino, vedremo ora quali sono quelli più presenti e più importanti, ossia gli acidi che, per la concertazione in cui sono riscontrabili, dovranno essere tenuti sotto controllo durante la vinificazione per riuscire ad ottenere un vino dalle qualità organolettiche (almeno di base) ottimali.

 

ACIDO TARTARICO

È l’acido più abbondate e rappresentativo sia nell’uva che nel mosto con concentrazioni da 1.5 – 2  a 6 g/L (in fase vegetativa si arriva fino ai 15 g/L); è inoltre l’acido più forte ed il maggiormente dissociato, conferendo al vino un pH di circa 3.0 – 3.5. Nell’uva è sintetizzato sotto forma dell’isomero L(+) Tartarico ed è un metabolita secondario del glucosio, esclusivo solo di questo frutto e del tamarindo (non si trova in altra frutta).

 

I tartrati, derivanti dall’uva grazie all’abbondante presenza di questo acido, sono usati come additivi acidificanti in molti alimenti; tuttavia, questo acido, ha anche dei risvolti negativi per le qualità organolettiche e, infatti, i sali dell’acido tartarico (tartrati stessi) di K e Ca, sono poco solubili e quindi coinvolti nell’instabilità dei vini (torbidità). A pH normale del vino non viene degradato, ma a pH > 4.00 può essere attaccato dai batteri lattici e trasformato in acido lattico che evolverà in acido acetico (difetto di girato).

È un substrato anche per Botrytis cinerea.

Vediamo l’evoluzione del tartarico durante la vinificazione:

 

ACIDO MALICO

A differenza dell’acido tartarico, esclusivo solo per l’uva e per il tamarindo, l’acido malico è il più diffuso nella frutta e segue, come il tartarico, una curva di diminuzione con l’avanzare della maturazione; il malico diminuisce perché è respirato dall’uva nelle settimane subito dopo l’invaiatura.

Si trova nella forma L(-), a concentrazioni di 4-6 g/L (regioni settentrionali) a 1-2 g/L (regioni meridionali), differenze che porteranno a compiere una malolattica sul vino (o no) per cercare di ammorbidire il vino (acido lattico più morbido) e per togliere quel sapore di frutto verde immaturo.  

È sintetizzato dal glucosio con la concentrazione che diminuisce fino al 50% nelle due settimane post invaiatura (combo diluizione – respirazione). I lieviti Saccaromyces cerevisiae hanno un basso consumo di questo acido visto la mancanza di trasportatori specifici (10 – 30%), mentre lieviti come Schyzosaccharomyces pombe riescono a degradarlo tutto (per la presenza dei trasportatori) convertendolo in etanolo.

Ma i veri attori del consumo di questo acido sono i batteri lattici, i quali riescono a degradarlo del tutto producendo l’acido lattico grazie alla fermentazione malolattica (residuo da 0.1 – 0.2 g/L).

Vediamo l’evoluzione del malico durante la vinificazione:

 

ACIDO CITRICO

Anche questo acido è molto diffuso in natura, soprattutto negli agrumi, e dona il sapore specifico di “frutta acidula”. Nei mosti e nei vini ha concentrazione variabile da 0.15 a 1.0 g/L, risultando metabolicamente molto importante per i MO e per la pianta (ciclo di Krebs).Riesce ad essere attaccato dai batteri lattici durante la fermentazione malolattica comportando la produzione di acido acetico (sentore negativo), metabolismo che ci impegna nella miglior gestione possibile di questi batteri (temperatura e, soprattutto, pH)

Può essere inoltre aggiunto nel vino per donare una sensazione di freschezza grazie al suo potere acidificante. Chela anche il ferro presente nel vino ma, l’aggiunta, deve essere sempre tenuta sotto controllo visto il possibile attacco da parte dei batteri lattici; infatti il tenore finale massimo è di 1 g/L, onde evitare la produzione di acido acetico.

 

 

ACIDO PIRUVICO

È un acido che deriva dal metabolismo del lievito e, nei vini, è quasi assente come tale (concentrazione sui 70 mg/L). Si può formare infatti per due vie principali:

  • RIDUZIONE, grazie alle deidrogenasi/NADPH, a partire da acido L-lattico (batteri) e D-lattico (lieviti);
  • DECARBOSSILAZIONE: dando etanale ed acetaldeide.

La riduzione, durante la FA, porta alla formazione di etanolo e l’ossidazione alla produzione di acido acetico.

 

ACIDO SUCCINICO

Si presenta a concentrazioni variabili tra 0.3 – 1  g/L, ed è stabile nei vini e accentuandone il carattere vinoso. Dona il classico gusto alle bevande fermentate con sentori acidi, salati ed amari. È, tra l’altro, un acido fondamentale per i metabolismo visto che è coinvolto nel ciclo di Krebs.

 

ACIDO LATTICO

Deriva dalla fermentazione degli zuccheri e si trova in concentrazione che varia da 0.1 a 0.2 g/L nei vini. È stabile nel vino e dam un sapore acidulo (sapore/aroma lattico) che, se confrontato con il sapore del malico, è molto più delicato. È fondamentale capire la differenza tra i due isomeri visto che l’acido D(-) lattico è ottenuto da batteri, mentre l’acido L(+) lattico è ottenuto da lieviti. Infatti se riscontro una presenza di D(-) > 0.1 g/L durante la fermentazione, vorrà dire che è in atto un attacco batterico agli zuccheri.

È la fermentazione malolattica la maggior produttrice di questo acido (isomero D(-)) attestandosi ad una concentrazione di 3 – 5 g/L.

 

ACIDO ACETICO

La concentrazione con cui è riscontrato normalmente nei vini si attesta sui 300 mg/L, prodotto sia per l’attività dei lieviti che per l’attività dei batteri malolattici. La concentrazione aumenta in maniera significativa quanto è in atto un attacco da batteri acetici nel vino, i quali bruciano etanolo producendo acido acetico (NB, sono batteri aerobi).

I lieviti, ad inizio della FA, producono grandi quantità di acido acetico da introdurre nella sintesi degli acidi grassi. Il grafico di produzione sarà a picchi (tanto prodotto e tanto consumato) con concentrazioni che arriveranno fino a 120 – 600 mg/L. I batteri lattici, invece, hanno una produzione che si attesta sui 100 – 300 mg/L e più, dipendentemente dagli zuccheri residui ed, eventualmente, dall’acido citrico.

 

Costituisce il 98% dell’acidità volatile nei vini ed è, per questo, preso come punto di riferimento per il calcolo dell’importantissimo parametro; le dosi, generalmente, sono :

 

  • DOSI Basse: la concentrazione è <300 mg/L e l’acidità volatile non viene percepita all’olfatto in senso negativo ma conferisce una certa complessità alle sensazioni gustative;
  • DOSI Alte: la concertazione è >300 mg/L venendo percepita con sensazione di acescenza, acetico, pungente.

 

È inoltre un acido precursore di ESTERI ACETATI che conferiscono aromi di banana, frutta,..; una fermentazione alcolica molto attiva mi consente di consumare più acido acetico con una conseguente diminuzione dell’acidità volatile e produzione di esteri in fase stazionaria deli lieviti anche se, questo, avviene in maniera minore rispetto agli esteri etilici.

Questo acido, inoltre, è sottoposto a limite massimo imposto dalla UE che si sarà:

 

ALTRI ACIDI

Troviamo poi altri acidi che sono:

  • ACIDO GLUCONICO
  • ACIDO 2CHETO-GLUCONICO
  • MUCICO

Possono raggiungere molti g/L in mosti infettati da Botrytis cinerea e non tenuti sotto controllo, essendo prodotti di ossidazione dei gruppi carbonilici di glucosio, fruttosio e galattosio. Inoltre il sale di calcio dell’acido gluconico è insolubile e da torbidità al vino riducendo sensibilmente le qualità organolettiche del prodotto.

 

 

ACIDITÀ ED EFFETTI: DIFFERENZA E STUDI

L’acidità di un vino è fondamentale per le qualità organolettiche in quanto influenza diversi fattori che sono:

  • STABILITÀ MICROBIOLOGICA, dove l’ambiente acido impedisce il proliferarsi di batteri contaminati (e dannosi);
  • SOLUBILITÀ dei tartrati e quindi controllo delle precipitazioni;
  • AZIONE SOLFOROSA, che in ambiente acido è più efficace;
  • AZIONE DEGLI ENZIMI aggiunti;
  • SOLUBILITÀ PROTEINE;
  • POLIMERIZZAZIONE DEI PIGMENTI
  • REAZIONI DI OSSIDAZIONE ED IMBRUNIMENTO
  • REAZIONI DURANTE L’INVECCHIAMENTO

 

Per questi ed altri motivi, quando parliamo di acidità del vino bisogna distinguere tra:

  • ACIDITÀ TITOLABILE: esprime i g/L di acidi presenti come tali NON salificati, ossia quanti grammi di acidi ci sono nel mosto – vino. Non ha effetti noti sulle reazioni biochimiche e chimiche;
  • ACIDITÀ REALE: (o pH) esprime l’attività degli ioni idrogeno e quindi il valore di pH; dipende quindi dalla qualità di ioni H+ che gli acidi sono in grado di rilasciare.

È il valore più importante in quanto l’acidità reale determina gli effetti principali degli acidi nel vino.

 

Buona Lettura

 

Vino&Viticoltura

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