Lieviti Enologici ed il Fattore Killer

Buon anno a tutti i nostri lettori!!

Cominciamo alla grande questo 2017 con un articolo sui lieviti, continuando il percorso iniziato con l’etichetta “microbiologia enologica”.

Per chi si fosse perso i precedenti articoli è invitato a leggerli, anche velocemente, per una miglior comprensione globale, visto l’argomento non troppo facile:

  1. Microbiologia Enologica
  2. Le Caratteristiche Fisiologiche dei Lieviti

Con questo articolo trattiamo caratteristiche del fungo importantissime da conoscere per una sempre più corretta e attenta vinificazione.

IL FATTORE KILLER

Il “fattore killer” dei lieviti altro non è che una proteina prodotta da alcuni ceppi di una stessa specie per evitare che altri ceppi prendano il sopravvento in un determinato ambiente; è espresso a partire da DNA di origine virale, quindi entrato nella cellula come un virus (vecchio virus), che oramai vive in simbiosi con il lievito.

In questo grafico è espresso il comportamento dei lieviti sensibili/resistenti al fattore killer.

fattore-killer

Il “fattore killer” è stato ottenuto prendendo e facendo crescere un ceppo killer (esprimente fattore) su una coltura liquida sottoposta poi a centrifugazione; in questo modo sul fondo andrà a depositarsi il lievito (più pensante), mentre in sospensione rimarrà il surnatante (contenente la proteina killer; solo dopo questo esperimento si potrà capire se effettivamente si tratterà di una proteina).

Utilizzando poi due colonie A cresciute alle medesime condizioni ed il surnatante ottenuto dalla centrifugazione della coltura killer B, si sono fatte 3 diverse prove con condizioni diverse ottenendo questi risultati :

  • GRAFICO 1: prendo due colture di lievito A inoculate nelle medesime condizioni alle quali ad una verrà aggiunto del surnatante ottenuto dalla centrifugazione della colonia proveniente B (fattore killer), mentre all’altra colonia NON aggiungerò il surnatante. Teniamo presente che le colonie A sono state prelevate in fase esponenziale e introdotte in un nuovo ambiente identico per condizioni (nutrizione); questo ha fatto si che i lieviti saltassero la fase di latenza rimanendo in crescita esponenziale, come è infatti apprezzabile dal grafico nel quale mancherà la classica curva di crescita sigmoidea. Quindi una volta prelevate le due colonie A in condizione di crescita esponenziale e messe in due ambienti nuovi uguali, l’unica differenza starà nel fatto che in una sarà presente il surnatante, mentre nell’altra no. Lo capiamo guardando il grafico, quindi le curve di crescita, in cui una colonia seguirà una crescita esponenziale mentre l’altra colonia una morte esponenziale. In poche parole le cellule di lievito inoculate in ambiente con il surnatante moriranno molto velocemente a causa della presenza del fattore killer.
  • GRAFICO 2: questa seconda prova ci servirà a capire in quale fase di sviluppo del lievito agirà più efficacemente il fattore killer: ricreiamo le condizioni dell’esperimento del grafico 1, con l’unica differenza che preleverò i lieviti in fase stazionaria. Prendere le cellule in questa fase comporterà ad un riadattamento al nuovo mezzo da parte dei lieviti, con conseguente presenza, nella curva di crescita, della fase lag, esponenziale e stazionaria. Come nell’esperimento precedente, la coltura inoculata nell’ambiente surnatante – presente, morirà, ma in tempo diversi: durante la fase di latenza non si assisterà a una moria di cellule significativa, mentre la vera e propria morte della colonia la si potrà apprezzare durante la fase esponenziale di crescita (che in questo caso corrisponde alla fase esponenziale di morte). La fase lag, quindi, ritarda la tossicità, mentre la fase esponenziale rende più marcato il carattere tossico del fattore killer.
  • GRAFICO 3: in questo terzo esperimento ricreerò le stesse identiche condizioni dell’esperimento 1, ma con la differenza del trattamento termico al surnatante prima di inserirlo in uno dei due ambienti. Dopo il trattamento termico possono notare che i lieviti in ambiente surnatante – esente e surnatante – presente si comporteranno allo stesso modo; in poche parole si riesce ad inattivare il fattore killer grazie al trattamento termico, caratteristica che ci fa capire che si tratta di una proteina (proteine sono termolabili).

Si può quindi dedurre che ALCUNI CEPPI DI LIEVITI producono una sostanza INIBENTE per ALTRE TIPOLOGIE DI CEPPI DI LIEVITI DIVERSI e, grazie a questo esperimento, è facilmente deducibile che tale fattore sia una proteina termosensibile chiamata, appunto, FATTORE KILLER. Il fattore killer quindi è un attore che lavora anche dentro la specie, in quanto limita la crescita di una popolazione in presenza di un’altra affinché non venga intaccata la nicchia ecologia su cui la popolazione giace.

Per questo motivo alcuni ceppi di lievito sono noti come CEPPI KILLER (K), i quali produrranno una proteina che, una volta secreta nell’ambiente, ucciderà i ceppi sensibili (altri ceppi S).

I ceppi killer non sono sensibili alla loro tossina, ma a quelli di altri ceppi e quindi liberi di essere attaccati ed essere uccisi da altri; altra categoria sono i ceppi neutri (N) che non producono la tossina e sono resistenti.

CICLO FATTORE KILLER E PRODUZIONE TOSSINA

La responsabilità della produzione del FATTORE KILLER va data ad antichi virus, ossia particelle che assomigliano a virus, portati dentro per fagocitosi (come mitocondri) ed orami integrate nella cellula, chiamate VLP (Virus Like Particle). Queste particelle contengono l’RNA a doppio filamento, essenziale per produrre la tossina ed altre particelle; quando è presente questo RNA nel citoplasma, verrà incapsulato in strutture proteiche VLP (genere mycovirus; NB: VLP-M sono incluse all’interno delle proteine capsidiche codificate da VLP-L).

Esistono due tipologie di VPL:

  • VLP-M : sintetizzando la tossina K (proteina). Esistono tre tipologie di VLP-M (M1, M2, M3);
  • VLP-L : codificano RNA polimerasi e proteine del capside (riproduzione). Esistono almeno 6 diverse tipologie di VLP-L.

Nei ceppi dei lieviti, dipendentemente se ceppi K, S o N, sono contenuti fattori di resistenza o di produzione della tossina e avere uno solo dei fattori o un fattore mutato, da origine alle differenze tra i ceppi:

  • CEPPI K (K+ R+): VLP-L / VLP-M ;
  • CEPPI S (K R): contengono spesso solo VLP-L;
  • CEPPI N (K R+): VLP-L e VLP-M mutato.

Le particelle L e M devono procedere in modo simbiotico affinché il lievito possa produrre il fattore killer ed il fattore di immunità; la correlazione tra le due è molto forte ed essenziale:

produzione-fattore-killer

Va detto, innanzitutto, che l’M satellite sarà presente solo se sarà presente anche l’Helper virus, perché se mancasse questo ultimo virus, il fattore killer verrebbe perso dopo alcune generazioni visto la sua incapacità di replicarsi .

Il VLP-L (tipo A, HelperVirus), che contiene la sequenza per la RNA polimerasi e le proteine del capside, replica la sequenza di RNA (da ssRNA a dsRNA) per poi rompere il capside quando ci sarà necessità di riproduzione; una volta rotto il capside usciranno i filamenti di RNA che conterranno la regione gag (gene per sintesi proteine capside) e pol (gene per sintesi polimerasi). Una volta fuoriuscito verrà sfruttato il RE della cellula per leggere l’RNA (letto dai ribosomi) che trascriverà producendo particelle gag (proteine del capside) e, continuando con la trascrizione, pol (una polimerasi). In questo caso particolare alcune sequenze di RNA verranno trascritte fino alla regione gag, sintetizzando le regioni del capside C, mentre altri filamenti verranno letti fino alla pol, sintetizzando una regione C con attaccata la polimerasi pol.

Le particelle gag (C) vengono sintetizzate in numero maggiore rispetto a quello che servirebbe all’HelperVirus da solo (oltre che in numero maggiore delle regioni gag + pol) e questo perché verranno trasferite all’M SatelliteVirus per includere l’RNA di M portatore dei fattori di immunità e tossicità.

La nuova polimerasi trascritta e attaccata alla proteina del capside C (trascrizione gag + pol), userà il vecchi filamenti di RNA singolo come stampo per sintetizzare nuovo doppio filamento di RNA gag + pol (può usare sia i filamenti + che -). Una volta prodotte le giuste quantità di RNA e di proteine gag viene ricostituito il capside e finisce il ciclo di HelperVirus. Da ricordare che non tutte le proteine del capside C e le proteine C con attaccata la polimerasi finiscono come costituenti di nuovi helper – virus, proprio perché serviranno all’M – satellite virus per completare il suo ciclo di replicazione.

In concomitanza con la duplicazione di HelperVirus, inizia il suo ciclo di duplicazione anche VLP-M (M SatelliteVirus), portatore del fattore killer. Anche in questo caso si procede con la duplicazione dell’RNA all’interno del capside di SatelliteVirus prima dell’apertura del capside, dal quale uscirà la preprotossina (pre-pro-α-γ-β) che entrerà poi nel reticolo endoplasmatico della cellula riconoscendo la sequenza pre come segnale di entrata. Nel ER agisce una proteasi specifica che andrà a staccare pre formando una catena che esporrà la sequenza pro più le sequenze α, γ e β.

Il secondo filamento di RNA verrà poi incapsulato con le proteine del capside provenienti dalla trascrizione dell’RNA di VLP-L (motivo per cui sono sintetizzate in maniera maggiore rispetto a quanto servirebbe strettamente all’Helper virus); così facendo si conclude il ciclo di duplicazione di uno e dell’altro.

produzione-fattore-killer-golgi

Quando pre viene tolto ed esposto pro viene dato il segnale facendo si che la catena amminoacidica venga trasferita al Golgi per la maturazione. Una volta arrivata al Golgi la pro-tossina subisce un processo di taglio al pro e al γ grazie alla proteasi Kex2P (maturazione) e le porzioni α e β verranno legate insieme tramite ponti disolfuro[1]. Portata fuori la tossina matura α-β tramite vescicole secretorie, la cellula ha completato il ciclo del fattore killer.

Ritornando al SatelliteVirus, una volta replicato l’RNA, viene incapsulato dai residui di proteine capsidiche proveniente da gag di HelperVirus e quindi rimesso nel citoplasma incapsulato.

Invece, per quanto riguarda la preprotossina, le sezioni hanno diverso significato:

  • pre: serve al RE per riconoscere il filamento;
  • pro: serve per capire quanto è il momento di mandare la catena amminoacidica al Golgi. Una volta liberato pro portandolo in prima posizione, la cellula manda il tutto al Golgi;
  • γ: porzione spaziatrice che impedisce che le sezioni α e β vengano tradotte nel citoplasma (pena avvelenamento della cellula).

 

MODALITÀ DI AZIONE DELLE TOSSINE

Le tossine, dipendentemente da quelle che consideriamo, hanno diversi metodi di azione e di ancoraggio al lievito S.

MODALITÀ DI AZIONE DELLE TOSSINE K1 E K2

Le modalità di azione sono molto simili in quanto K1 lavora a pH 4.2 – 4.6 mentre K2 (16 Kdalton) interviene a pH 2.8 – 3.4 ed il sistema di tossicità prevede due momenti principali: in un primo momento la tossina prende contatto con la parete cellulare e, in un secondo momento, con la membrana cellulare.

La tossina è affine per l’enzima kre1 che sintetizzerà il β-1,6-glucano di parete; possiamo quindi dire che il primo accettore della tossina sulla parete sarà una β-1,6-glucano sintasi (glicoproteina di parete, glico perché dovrà resistere all’ambiente esterno). L’enzima è espresso dal gene kre1, quindi diretto responsabile della sensibilità del ceppo preso in considerazione.

Ma come detto prima, questo è solo il primo momento del lavoro d’entrata della tossina! È infatti necessario un secondo recettore, kre2 espresso dal gene kre2, proteina associata alla membrana che completa il trasporto della tossina fino a questo punto. Visto che i geni kre1 e kre2 avranno massima espressione in fase esponenziale (crescita = sintesi nuova parate = + lavoro per gli enzimi), il lievito sarà più sensibile in fase esponenziale (log) alla tossina rispetto che ad altre fasi della vita nel mosto.

Una volta raggiunta la membrana, la proteina si comporterà come un poro, aprendo una via di scambio incontrollato tra l’interno e l’esterno della cellula; in più i canali si potranno ingrandire dipendentemente dalle tossine presenti nell’ambiente. Una delle cose più importanti ad essere colpite sarà, sicuramente, la forza proton motrice, la quale di minuirà a causa dell’uscita di protoni e dell’entrata di anioni (ridotto il potenziale della cellula).

In generale, gli effetti della tossina possono essere riassunti in:

  • Alterazioni a livello di membrana;
  • Malfunzionamento dei sistemi di trasporto accoppiati di AA e H+;
  • Aumento acidità del citoplasma e quindi calo delle FPM;
  • Perdita di potassio e di ATP;
  • Morte del lievito nel giro di 2 – 3 ore dall’attacco.

La proteina killer è inoltre insensibile all’etanolo ed alla SO2 ma viene distrutta dal calore (30min a 32°C la concentrazione è dimezzata).

Ma allora cosa determina la RESISTENZA? Si è scoperto che la resistenza è intrinseca della cellula resistente. Bisognerà cercare nel genoma di questa per capire come mai alcuni ceppi possono essere resistenti alle tossine e, il tutto, è dovuto ad una modifica del gene kre1, il quale trascriverà un’ISOFORMA della β-1,6-glucano sintasi attaccata normalmente. Queste piccole differenze strutturali tra le glicoproteine espresse da kre1 divideranno le specie in resistenti o meno (quando kre1 è un’isoforma il lievito è resistente).

MODALITÀ DI AZIONE DELLA TOSSINA K28

Anche questa tossina lavora in due momenti distinti: viene prima agganciata da un recettore di parete che, in questo caso, è una α-1,3-mannoproteina (proteina alto peso molecolare), poi viene agganciata ad un recettore di membrana non noto ed entra nella cellula per endocitosi[2]. Attraversa poi la via di secrezione delle proteina al contrario (Golgi à RE ) per poi arrivare nel citoplasma trasducendo un segnale tossico nel nucleo e determinando l’effetto letale di:

  • Inibizione sintesi DNA;
  • Arresto cellule nella fase G1 del ciclo cellulare.

 

FATTORE KILLER IN VINIFICAZIONE

Si pensava che il fattore killer fosse molto importante per la capacità di prendere possesso e dominare un determinato ambiente, visto che nelle prove di laboratorio fatte con ceppi killer i ceppi sensibili venivano completamente soppiantati e l’entità dell’effetto era determinata da ceppo a ceppo.

Tuttavia si è poi scoperto che gli altri fattori ambientali agiscono in modo importante sulla dominanza di un ceppo rispetto ad un altro; un esempio è dato dalla capacità di gestione dell’azoto, elemento poco presente nel mosto se paragonato agli zuccheri e quindi fattore limitante: i ceppi che meglio riuscivano ad assimilare l’azoto, e quindi più veloci nella fermentazione, erano agevolati rispetto a quelli più lenti esercitando un fattore di dominanza importante rispetto ad altri ceppi (anche se killer).

Viste le nuove scoperte era chiaro che il rapporto CEPPO K / CEPPO S, sempre per quanto riguarda la dominanza, poteva variare da 1:1000 a 100:1 dimostrando che il fattore killer non era l’unico fattore di esclusione di un ceppo di lievito rispetto ad un altro.

DAL PUNTO DI VISTA ENOLOGICO IL FATTORE KILLER NON è QUINDI FONDAMENTALE, anche se si continuano comunque a selezionare CEPPI N.

[1] Ponti disolfuro : Il ponte disolfuro (ponte di zolfo) è un gruppo funzionale costituito da due atomi di zolfo legati (-S-S-), che riveste una notevole importanza nella stabilizzazione della struttura terziaria di molte proteine. La formazione dei ponti disolfuro avviene per ossidazione dei gruppi tiolici dell’amminoacido cisteina.

[2] Endocitosi : è un processo riguardante la periferia cellulare, attraverso il quale la cellula internalizza molecole o corpuscoli presenti nello spazio extracellulare in maniera massiva tramite la modificazione della forma della sua membrana plasmatica, che crea uno spazio per racchiudere il materiale da introdurre nella cellula in una vescicola, detta “vescicola endocitica”. Questa vescicola viene quindi convogliata nel citoplasma tramite microtubuli.

Buona Lettura

Vino&Viticoltura

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